martedì 2 ottobre 2012

La danza del mondo (di Jacopo Lupi)

 
 
La danza del mondo (di Jacopo Lupi)
La sveglia del cellulare cominciò a squillare violentemente e un pensiero la svegliò: “se solo gli uomini comprendessero appieno tutti i segreti della danza del mondo, quell’incontro sensuale di corpi celesti che fondono le proprie anime in iperbole compiute, forse vivrebbero meglio; forse riuscirebbero persino a definire i movimenti del proprio corpo e ad incontrare la perfezione delle linee invisibili che la notte disegna; cancellerebbero dalla propria mente i pensieri negativi e lascerebbero fruire libera, come fiume senza argini, l’essenza vera che ognuno cerca di nascondere; forse sarebbe più bello anche vivere; forse. Oppure, riuscirebbero come sempre a rovinare tutto, anche la bellezza immobile di un cielo stellato in silenzio.”
20:15. Mancavano ormai pochi minuti a quel momento magico che aspettava da troppo tempo e, dentro di lei, un sottile piacere nel sapere a cosa stava per assistere. Cominciò a liberare la stanza di tutte le cose inutili e superflue: un libro aperto sul divano; un bicchiere di vino quasi vuoto sul tavolo; un quaderno nero portatore sano di tutti i segreti, anche quelli inconfessabili; qualche vestito buttato a terra dal pomeriggio. Tutto. Andò ad aprire il balcone sperando di trovare nella strada di fronte al mio piccolo appartamento, qualche persona da osservare mentre il miracolo si compiva. Con gli oggetti e gli alberi lo aveva visto e osservato una infinità di volte, ma con gli uomini no. Le era capitato solo una volta; un bambino che giocava a palla, qualche anno prima.
Si appoggiò sul davanzale del balcone e un leggero sorriso si impossessò delle sue labbra mentre il suo corpo era una foglia fragile che veniva vibrata dal vento. Pini enormi che si muovevano leggeri e imperfetti; un cielo tempestato di diamanti, mille punti impazziti di un'unica esplosione di luce; un viale asfaltato lunghissimo dove decine di persone camminavano veloci per trovarsi pronte, e al posto giusto, quando tutto fosse stato realmente visibile come una poesia di immagini.
Una donna camminava su dei tacchi a spillo che le rendevano duro e impacciato l’incedere incostante delle sue gambe; uno sguardo basso e spalle che si piegavano impercettibilmente; le sue mani che cercavano di sorreggersi al manico della sua borsa, come se temesse di perderla, non ostante fosse stabilmente ancorata alla sua spalla sinistra; un elegante tailleur baige che, anche se le dava un aspetto distinto, riusciva lo stesso a far notare tutta l’incompletezza del suo movimento.
Aveva un viso stanco, sfibrato da una lunga giornata di lavoro, svigorito dai finti sorrisi di cortesia gentilmente concessi a innumerevoli estranei. Una donna in carriera che si stava lasciando vivere per il quieto e indispensabile arrivismo quotidiano. Centinaia di telefonate; la luce dei suoi occhi affievolita e leggera che mostrava la necessità di conoscere in pieno chi si nascondeva da quarant’anni dentro quel bellissimo abito griffato. Una donna. Forse anche lei una danzatrice del cosmo.
20:20. Ancora dieci minuti. La donna si fermò con il cellulare in mano vicino la fermata di un autobus, probabilmente aspettava un taxi che l’avrebbe riportata di corsa nel suo appartamento pieno di cose superflue ma vuoto di lei. Sulla panchina affianco la fermata dell’autobus due uomini che gesticolavano vistosamente. Parlavano mentre le loro mani si muovevano mimando gesti che servivano solo a dar forza maggiore al pensiero che stavano cercando di trasformare in parole. Tutto sembrava quello che era sempre stato: un disordine di immagini, forme, colori, di cui quelle persone ne erano cornice indispensabile. La luce del lampione sopra di loro dava un immagine più viva e mi permetteva di osservare e concentrarmi su ogni piccolo particolare dei due uomini e della donna, che cominciava a irrigidirsi per la lunga attesa. Il cielo era nascosto dalle luci della città e delle macchine, che sembravano volessero entrare in competizione con lo spettacolo celeste; un mare stellato di elettricità che faceva specchio al fulgore dell’immensità lunare che ci stavano a guardare in silenzio.
20:25.C’eravamo quasi. Ormai nulla le avrebbe impedito di osservare il miracolo che si compiva su quelle tre persone. Due uomini su una panchina e una donna che attendeva un taxi. Tre danzatori del cosmo che aspettavano di essere catturati da quel momento.
Entrò in casa, riempi il bicchiere di vino e buttò giù di un solo colpo quel liquido caldo; rifece quell’operazione cercando di velocizzare i movimenti per essere pronta al momento giusto. Fece ancora una sorsata e vide l’orologio sul display del cellulare, era tutto pronto. Si avvicinò alla finestra e appoggiò la mano sull’interruttore dell’unica luce che aveva deciso di lasciare accesa fino a quell’istante. Il cuore cominciò a pompare sangue con una foga mai avuta, la mano le tremava vistosamente e i suoi occhi a tratti erano coperti di una patina leggera, come un velo bianco che cercava di celare quello che sognavo da troppo tempo.
20:30. Spense la luce e si avvicinò a passi lenti sul davanzale. Quando si affacciò lo spettacolo era già iniziato. Le luci dei lampioni lentamente si stavano spegnendo; ogni finestra, a tratti regolari, diventava buia; il rumore delle auto si attenuava ogni secondo di più; l’angoscia che sentiva dentro da sempre si stava allontanando sempre più, ad ogni lampione del mondo che diventava nero. Il cielo cominciò a sorridere e preso da quel senso di protezione nei nostri confronti, rafforzò il chiarore delle sue stelle regalandoci la più bella fiaccolata mai vista. Sentiva la presenza di migliaia di occhi umani che, nello stesso suo momento, stavano levando il volto verso l’alto e ammiravano estasiati quel dono immenso che la luna stava facendo. Buio. Notte. Silenzio perfetto.
Guardò in basso, verso i due uomini. Dopo un secondo di smarrimento avevano ripreso a parlare e gesticolare ma, ora, stavano danzando. Vedeva le loro mani che disegnavano nell’area gesti perfetti e linee che solo il cielo conosce; ogni loro parola generava musica sulle quali riuscivano a muoversi ritmicamente.
La donna riprese a camminare in quel buio, su quei  tacchi a spillo che ora erano dei trampoli altissimi su cui lei volteggiava come una professionista; il suo sguardo si riempi di stelle, le spalle creavano un moto ondulatorio che le davano una sinuosità che di umano aveva ben poco; nuda e unica ballava, cercando di conoscere la sua vera essenza; il nero del mondo attorno era un mare silenzioso su cui tre pesci nuotavano perfetti.
Una donna. Anche lei una danzatrice del cosmo.
Si lasciò andare in quell’estasi di immagini e suoni, tanto che anche il suo corpo sembrò catturato da quei movimenti lenti e ovattati. La mente le cancellò tutti i pensieri negativi e creò un infinità di altre vite possibili che il cuore cercava. Riuscì, in un lasso di qualche minuto, a viverle tutte e innamorasi cento volte di più, e ogni uomo ne diventava una solo, quello che lei sognava.
21:30. Le luci cominciarono a riaccendersi, il sonno era finito. I lampioni e la vita riprese energia e il cielo si annientò dentro il mare asfaltato e lucente di una città in movimento. Sotto di lei due uomini che non aveva più nulla da dirsi e, poco più in là, una donna triste che inciampava nei suoi stessi passi.
 

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